venerdì 2 marzo 2018

La saga documentaristico-televisiva di Re Artù




            Sul Graal e Re Artú esiste tutta una serie di documentari ben confezionati, trasmessi a suo tempo da SKY.  Purtroppo, a causa del passaggio dalle videocassette, con possibilità di registrazione diretta, ai dvd i videoregistratori sono andati in disuso e, nonostante avessimo approntato un elenco di tutte le video registrazioni, ecco che questo elenco è andato smarrito.
            Il primo documento 1, mirante soprattutto al rigore scientifico, ha un taglio prettamente archeologico.  In particolare il filmato mette in luce, attraverso le parole di G. Ashe, (autore di Landscape of King Arthur e di altri volumi sul leggendario sovrano), la tavola d’ardesia del V-VI sec. reperita a Tintagel  riportante assieme ad altre 2 iscrizioni la scritta Arthos-nov (leggi Arth-nu); da intendere nel senso di ‘conosciuto-come Artù’, dal celt. novas, ingl. know.  In tal ottica Artù è presentato quale dux bellorum, combattente contro le truppe germaniche che invasero la Britannia a causa d’inondazioni nel loro territorio.  Appunto la dimensione in cui viene collocato da G. di Monmouth nel XII sec., il cui ms. è reperibile alla Warburg Library londinese.  Il problema però è che dopo aver sviscerato il nucleo storico effettivo dell’alone leggendario incorporato nella vicenda arturiana si ottengono semplicemente i fatti concreti, non la verità contenuta nel mito; questa è ottenibile solamente tramite lo studio del mito stesso, il che può esser fatto o col metodo storico-comparativo proprio dello storico delle religioni o dell’iconologo – anche se negli ultimi anni pare caduto in disgrazia presso le nostre università – oppure mediante lo studi esoterico.
            Dopo l’abbandono delle truppe romane nella prima metà del VI sec. la Britannia passò attraverso un periodo oscuro, durante il quale l’agricoltura andò in abbandono; bande di ladri e di predoni vessarono il territorio, già di per sé impoverito dalla crisi economica.  Le condizioni peggiorarono coll’invasione dal continente delle truppe anglo-sassoni nella seconda metà del secolo.  In parallelo si ha l’intrusione dei Gali dall’Irlanda, dei Pitti nonché degli Scoti dalla Scozia.  È qui che s’inserisce, forse, la possibile presenza d’un re di nome Artù.
            Quindi, se da una parte ci teniamo ad enucleare quei fondamenti storici ponenti la base della leggenda arturiana, dall’altra segnaliamo il fatto che tale leggenda è ancorata necessariamente al mito polare, senza cui l’intera epica graalica risulta incomprensibile o facilmente banalizzabile.  Per mito polare intendiamo non la già la questione indoeuropea, od aria, sulla quale abbiamo già espresso la nostra opinione esaurientemente altrove; ovvero che essa è legata al mito polare solo indirettamente, non direttamente.  Ma piuttosto le tematiche astrali ed ontologiche connesse alla Stella Polare, più in generale all’Orsa Minore, cui il noome medesimo del monarca si riallaccia.   Perché è solamente colla spiegazione polare, la quale è metafisica prima ancora che cosmografica, che si può intendere tutto l’insieme dell’epica celto-cristiana.  La Stella Polare ci rimanda in India ala Ciclo di Re Varuna, signore oceanico, ossia alla fine del II Ciclo Avatarico 2.  Artù, perciò, assumendo al veste di Re Pescatore – il che accade solamente nel Mallory – prende le spoglie del grande sovrano delle acque infere.  Ciò spiega anche la permanenza del re ferito a morte, accompagnato dalle ‘Nove Fanciulle’ all’Isola di Avallon (leggi Glastonbury T.) per ritornare alla fine dell’Eone – fatto ormai compiuto astronomicamente – a dominare di nuovo i cieli.



            Il secondo documentario analizza in profondità, con maggiori dettagli, tutte le sfaccettature storiche del mito arturiano.  Artù è il re ideale che crea una società utopica in un’epoca di violenza, crea cioè Camelot.  B. Waters (Ass. per l’Arch.Rom.) afferma: “Qualcosa accadde nel V sec., ma rimase sepolto sotto i veli della narrativa romantica” (sarebbe meglio chiamarla ‘romanza’).  Nel 1469 il cavaliere inglese impoverito Ser Mallory descrive una Britannia divisa e priva d’un capo.  I vari principi rischiano di scatenare una guerra civile, reclamando ciascuno per sé la corona del re defunto.  In questo vuoto di potere s’inseriscono le vicende sovrannaturali di Merlino ed Artù.  È la Regina Ginevra che porta in dote la Gran Tavola Rotonda, benché costruita da Merlino.  Attorno alla Tavola il re riunisce i più grandi eroi in un’atmosfera di cavalleresca fratellanza.  L’amore di Lancillotto per Ginevra spalancherà la porta al caos, perché entrambi hanno giurato fedeltà al re.  Anche Artù però aveva ceduto alla passione amorosa in gioventù, non meno del padre Uther.  In questa versione la sorellastra è chiamata Morgana.   


            Un terzo documentario cerca di accertarsi che il Cadbury Castle (nel Somerset), sulla base di preziose mappe e sulle tracce di fortificazioni minutamente ricostruite, sia corrisposto al leggendario Camelot (3).  Il documentario per fortuna va oltre quest’ipotesi storicistica e correttamente associa il racconto della simbolica barca dell’ultimo viaggio del re alle tre bare a forma d’imbarcazione realmente trovate presso un sepolcro in un scavo nei dintorni del suddetto castello.  Interessante che i corpi fossero allineati in direzione di Glastonbury T. e che il ritrovamento risalga al XV sec. a.C., cioè a 2 millenni prima d’Artù.  Come a dire che la leggenda arturiana s’inserisce in una linea mitica risalente alla notte dei tempi.  E ciò è quanto andiamo sostenendo pure noi.  Qui non vogliamo contrapporre il mito pagano a quello cristiano, come ha fatto Evola nel suo pur validissimo Il mistero del Graal, ma semmai rintracciare nell’epica celto-cristiana fondamenta più arcaiche la universalizzino.  Un altro reperto significativo è la A metallica stivalata e senza fori conservata al museo nei sotterranei di Cadbury, non a caso trovata nei pressi del castello.  Tutto insomma contribuisce a creare la nozione d’un capo carismatico, capace di combattere le 12 battaglie che la tradizione britannica gli ascrive.  Ci si è anche chiesto da parte dei documentaristi se lo stemma del Dragone Rosso fosse realmente un fattore storico od un’attribuzione fantastica.  E parrebbe che il color Rosso gli venisse associato sin dal Medioevo, seppure la documentazione scritta sul suo conto abbia inizio solo ne IX sec.  Questa lo dipinge quale dux bellorum anziché come re, ma sicuramente in tempi di Sacro Romano Impero la cosa non doveva essere allora di gran importanza.  È probabile che l’attribuzione regale gli sia stata conferita in un momento successivo, allorché la regalità tornò in auge e la mitizzazione del personaggio andava crescendo.  La nascita dell’araldica, nel XII sec., ha fatto il resto.






Note

1     Alla ricerca di Re Artù (The Quest for King Arthur), doc. di 91 m diretto da D. Campbell e prodotto dalla Partisan Pict. Per Hist.Ch.
2     È alla fine del II Ciclo Avatarico, infatti, che tale figura fa capolino colla figlia.  Cfr. con Urano e Afrodite Urania.

3     Benché gli scavi archeologici degli Anni ’60 abbiano dimostrato che il posto, fortificato nelle tre terrazze a pendio e con dei bastioni lignei in cima alla terza, sia stato in effetti una dellee principali fortezze britanniche del VI sec.  Le rappresentaioni artostiche hanno i seguito confuso un po’ le idee colle loro stilizzazioni.



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